Vi sono luoghi naturaliter cinematografici. I quali invitano, quando non obbligano, la macchina da presa a cercarli, inseguirli e possederli. Luoghi che per una felice alleanza di suggestioni audiovisive, socio-storiche, antropologiche, costituiscono già di per sé scenografie e sceneggiature bell’e fatte.
Gesualdo Bufalino
Lo ricordo distintamente. Ci trovavamo nella sala conferenze del Museo della Cattedrale di Ragusa ed era in un corso un convegno sulla valorizzazione dei beni culturali. Un funzionario di soprintendenza parlava a ruota libera, dati statistici alla mano, delle raccolte archeologiche iblee. Di cosa discettasse di preciso, non saprei, sebbene di tanto in tanto mi appuntassi qualche numero per la prossima giocata. D’un tratto sobbalzai. Il conferenziere, come a volte mi accade di sentire, a scuola, durante una verifica noiosa, l’aveva sparata grossa. Aveva citato il Guerriero di Montalbano.
Il Guerriero di Montalbano! Non quello preclaro di Castiglione, ma un altro, forse altrettanto reale, modellato dal suo inconscio sul personaggio di Camilleri. Che nei film di Sironi non è propriamente un gigante, ma che, come ogni eroe che si rispetti, ha la statura metaforica di un monte, il Monte Albano. Albano Laziale?
Subito si destarono, neanche fossero i miei figli la domenica mattina, feroci associazioni. Come è possibile, mi dissi, scambiare l’incunabolo di una cultura antichissima con un personaggio seriale, di cui, tra qualche anno, non serberemo neanche il nome? Chi si rammenta oggi di un polpettone tv come La Piovra?
Di certo mi sbagliavo. Gli Iblei offrono scenari senza pari, altrettanto se non più interessanti delle trame sceneggiate.
Ma pensiamo con la mente del relatore e funzionario, costretto a fare i conti con la sostenibilità della sua azione culturale. Un tempo i musei erano raccolte private. Oggi per finanziarli occorre trovare i fondi sul mercato.
Ecco allora la strada su cui il brillante Commissario e il Guerriero polveroso potrebbero procedere a braccetto. O meglio, Montalbano potrebbe fare da mezzano, da specchietto per le allodole, dando il suo contributo alla tutela del vecchietto.
Se vi state inalberando, ne avete tutto il diritto. La mia è una provocazione, anche piuttosto banale. Il Guerriero e il Commissario si rivolgono a pubblici diversi. E se è vero che il pubblico del secondo è molto più vasto del primo, è vero pure che il pubblico del primo ha una tendenza a fermarsi, a sostare che il secondo si sogna.
Questo matrimonio, insomma, s’ha da fare. Per il bene di tutti. E senza dimenticare che non solo Montalbano, con rispetto parlando, è di casa negli Iblei.
La storia d’amore degli Iblei col cinema inizia da lontano. Ci riporta al secondo dopoguerra, a un sodalizio paragonabile a quello tra Sironi e Camilleri: la collaborazione professionale che legò Vitaliano Brancati al maestro del Neorealismo Luigi Zampa.
Brancati amava Modica, in cui aveva vissuto nell’infanzia. Fu lui a suggerirla come teatro di Anni difficili – di cui fu anche coautore della sceneggiatura – il film tratto dal suo racconto Il vecchio con gli stivali. Uscito nel lontano 1948, il lavoro ebbe successo, ma non un seguito immediato.
Per oltre quindici anni la nostra provincia rimase fuori dal “giro”, sinché un bel giorno Enzo Battaglia, giovane ragusano di belle speranze, fu ammesso al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Enzo era il primo della classe – e che classe: sui banchi sedevano Bellocchio e la Cavani – e, terminati gli studi, aveva un futuro assicurato. Difatti, appena venticinquenne, venne accettato come aiuto regista da Piero Germi per Divorzio all’italiana e lo convinse a girare, lungo il corso Garibaldi di Ispica e, a Ibla, nelle piazze e negli interni del Circolo di Conversazione, un film che ottenne la Palma d’Oro per la migliore commedia, due nomination all’Oscar e un Oscar per la migliore sceneggiatura.
Dopo la fine delle travagliatissime riprese – Germi e la Rocca si separarono, quest’ultima tentò il suicidio, Germi riportò una paresi facciale – il regista dichiarerà che il set aveva influenzato anche la storia, perché i toni strappalacrime, che erano nelle intenzioni degli autori (Concini e Giannetti, oltre allo stesso Germi) mal si adattavano allo spirito dei luoghi.
Qualcosa del genere non accade, a guardar bene, anche alle trasposizioni filmiche dei romanzi di Camilleri? La magia dei nostri lidi non rende forse i suoi personaggi più simpatici e gentili?
Nell’attesa di sciogliere l’enigma, diamo un’occhiata alla lista dei film ambientati nei dintorni di Ragusa.
Nel 1967 Giorgio Bianchi dirige tra Ragusa e Noto la commedia Assicurarsi vergine; l’anno dopo Duccio Tessari gira a Ispica alcune scene di un’altra commedia, Meglio vedova, e Mario Monicelli inizia la fortuna cinematografica dei muri a secco e delle masserie con le riprese del rapimento – protagonista una giunonica Monica Vitti – de La ragazza con la pistola, seguito nel 1972 da Filippo Ottoni col noir La grande scrofa nera.
Persino una sequenza di un classico del trash, Giovannona Coscialunga disonorata con onore (1973) di Sergio Martino, è confezionata lungo le scale della chiesa di San Pietro a Modica, con un gusto per le scenografie barocche che sarà pure di Giuseppe Colizzi in Arrivano Joe e Margherito (1974), filmato in parte a Ibla, mentre nello stesso anno, ma con ben altra statura, Vittorio De Sica immortalerà, sullo sfondo del Loggiato del Sinatra a Ispica, l’incontro tra Sofia Loren e Richard Burton nel suo addio al cinema, Il viaggio.
E siccome l’assassino torna sempre sul luogo del delitto, nel 1975 Ibla è il set di Gente di rispetto, il film di Zampa con Franco Nero, Jennifer O’Neel, James Mason, Orazio Orlando e Franco Fabrizi tratto dal libro di Giuseppe Fava.
Anche la televisione non si fa pregare: nel 1975 Nelo Risi e Fabio Carpi attraversano il Sud est della Sicilia per Le città del mondo, dal romanzo di Elio Vittorini, e, l’anno dopo, Paolo Nuzzi ruba agli Iblei qualche spunto per il suo Giovannino, dal romanzo di Ercole Patti.
Nel 1977 Dino Risi ambienta a Ibla un episodio del film culto suo di Monicelli e Scola I nuovi mostri.
Ancora nel 1978 Mario Bianchi sceglie la pineta di Chiaramonte Gulfi per la sequenza della gara automobilistica de La Banda Vallanzasca, mentre in un episodio de L’esclusa, film tv di Piero Schiavapazza dall’omonimo romanzo di Luigi Pirandello, fa capolino Ibla con la facciata di San Giorgio.
Nel 1984 è il turno di Kaos dei fratelli Taviani – indimenticabili Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nell’episodio de La Giara – giocato quasi per intero tra Ragusa, la campagna ragusana, il castello di Donnafugata, Ispica e Chiaramonte Gulfi. Piazza Duomo a Ibla, dove si svolge l’episodio della rivolta degli abitanti di Margari nell’episodio Requiem, fa mostra di sé anche nella locandina della versione cinematografica del film.
Seguiranno, nel 1986, La morte di Empedocle di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, presso il Castello di Donnafugata e, sempre presso il Castello, nel 1987, Il Siciliano di Michael Cimino, con Christopher Lambert; nel 1988, La donna della luna di Vito Zagarrio, un continuo vagare per Ragusa, Scicli, Santa Croce Camerina, Modica e Pozzallo.
Gli anni Novanta si aprono coi paesaggi marini, tra Vittoria e Santa Croce Camerina, de Il ladro di bambini (1992) di Gianni Amelio, che aveva già sfruttato i nostri luoghi per alcune sequenze de I ragazzi di via Panisperna (1988) e di Porte aperte (1990), dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia.
Sempre nel 1992 è il turno de Il trittico di Antonello, opera prima in tre atti di Francesco Crescimone; nel 1995 Alberto Simone gira Colpo di luna nei pressi di Chiaramonte Gulfi, location scelta l’anno dopo da Roberto Faenza per la sua Marianna Ucria, dal romanzo di Dacia Maraini. Nello stesso tempo, a Scicli vede la luce il film tv Non parlo più di Vittorio Nevano, dedicato a Rita Atria, la pentita che, prima di uccidersi abbandonata da tutti, collaborò con Borsellino.
È però a Ragusa, e a Monterosso Almo, che Giuseppe Tornatore gira L’uomo delle stelle, storia di un truffatore in viaggio per la Sicilia a bordo di un carro coperto da un tendone, che promette ai poveracci di diventare grandi attori.
Una riflessione sull’inganno del cinema che, tradotta in indiscriminato livore verso l’arte “commerciale”, ha avuto forse un ruolo nella mia prima reazione al lapsus dell’ignoto funzionario, ma che non ha impedito, ad esempio, a Maurizio Sciarra di filmare, nel 1998, La stanza dello scirocco, dal romanzo di Domenico Campana, tra Monterosso Almo e il Castello di Donnafugata.
L’elenco è davvero impressionante. Vi albergano B movie e film enormi, le solite tirate sulla mafia e pellicole ispirate a storie “siciliane”, a testimonianza di una consuetudine che troverà il testimonial perfetto nel Commissario di Camilleri. Tra tutti, i più significativi per il risalto dei paesaggi sono L’uomo delle stelle e il capolavoro dei fratelli Taviani.
Con queste pellicole gli Iblei, come era già accaduto in Divorzio all’italiana, tolti i panni dello sfondo “di colore”, diventano quasi un attore in più.
Andrea Camilleri probabilmente se ne accorse nel punto preciso in cui abbiamo messo in pausa la nostra carrellata. Il 1998 è infatti l’anno di un duplice esordio, quello del Commissario nazionale e quello del suo creatore. Non in veste di deus ex machina, come ci siamo abituati a riconoscerlo, pacioso e affabulante, nelle introduzioni agli ultimi episodi della serie, ma in veste di attore da film (in una serie tv, Quel treno per Vienna, Camilleri aveva a suo tempo recitato…).
Ne La strategia della maschera del genero Rocco Martelliti – ma da un soggetto di Camilleri – lo scrittore fa infatti la parte di un vecchio archeologo, Briano Teo Calvani, che non si rassegna all’idea che dieci preziose maschere della Commedia attica siano state rubate proprio durante uno scavo da lui stesso diretto due decenni addietro; perciò, poco prima di morire, spinge il nipote inconsapevole a un viaggio rivelatore.
Il tutto sullo sfondo principale del Museo di Kamarina.
Lo scenario è dunque lo stesso dei primi due episodi di Montalbano, Il ladro di merendine e La voce del violino, apparsi quasi in contemporanea. Scenario che l’autore, dalla sua lunga esperienza di cinema – Camilleri ha lavorato per anni alla Rai e insegnato presso quel Centro Sperimentale di Cinematografia dove aveva studiato Enzo Battaglia – sente il bisogno di vedere, e di vivere, in prima persona.
Proprio come avverte l’esigenza di trovarsi, “dopo tanti anni passati a dirigere gli attori”, “dall’altro lato della cinepresa”.
In un simile gioco delle parti, dove la distanza tra vita e sogno, letteratura e cinema si accorcia sin quasi a scomparire, l’ipotesi che il Guerriero di Montalbano sia reale si fa sempre meno astrusa e peregrina.
Gli Iblei, intanto, diventano una Cinecittà in miniatura.
Nel 1999 è il momento di C’era una volta in Sicilia (poi presentato col diverso titolo di Tra due mondi) di Fabio Converso; nel 2001 della miniserie Blindati di Claudio Fragasso, confezionata in buona parte tra Ragusa e Vittoria; nel 2002 di Perduto amor, esordio alla regia di Franco Battiato e de Il Consiglio d’Egitto di Emidio Greco; nel 2003 di Lettere agli emigranti di Roberto Nobile e di Cuore scatenato, surreale commedia di Gianluca Sodaro tra Cava d’Ispica e le Cave Bianche di farina fossile di Ragusa; nel 2004 di Sara May, opera prima della regista vittoriese Marianna Sciveres; nel 2005 di Tre giorni d’anarchia di Vito Zagarrio; nel 2006 di Viaggio segreto di Roberto Andò, di Nuovomondo di Emanuele Crialese e de I Viceré di Roberto Faenza; nel 2007 del film tv L’ultimo dei Corleonesi di Alberto Negrin, di Quell’estate felice (presentato anche col titolo Maria Venera) di Beppe Cino, libera e nostalgica rievocazione del romanzo Argo il Cieco di Gesualdo Bufalino, e della miniserie di Enzo Monteleone e Alexis Sweet Il capo dei capi, con Claudio Gioè nel ruolo di Totò Riina, realizzata quasi per intero tra Pozzallo, Ispica, Monterosso Almo, Vittoria, Acate col Castello dei Principi di Biscari (nel film il Carcere dell’Ucciardone), Marina di Ragusa, Donnalucata, Modica, dove si celebra il matrimonio di Riina, e soprattutto Scicli; nel 2009 de La matassa di Ficarra e Picone; nel 2012 di Terramatta di Costanza Quatriglio, documentario e insieme poetica evocazione, sulla base dei suoi scritti, del piccolo mondo di un bracciante semianalfabeta di Chiaramonte Gulfi, Vincenzo Rabito; nel 2014 di Andiamo a quel paese, di Ficarra e Picone, e di Italo, di Alessia Scarso, simpatica storia di un cane sciclitano; nel 2015 di L’attesa di Piero Messina, de Il cunto de li cunti di Matteo Garrone e del prequel del famigerato Commissario Il giovane Montalbano, serie in sei episodi con Michele Riondino di Gianluca Maria Tavarelli; nel 2016 di Quel bravo ragazzo di Enrico Lando; nel 2017 del film tv di Alessandro Angelini I fantasmi di Portopalo; nel 2018 de La stagione della caccia e nel 2020 de La concessione del telefono, due miserie tv derivate dagli omonimi romanzi di Camilleri del ciclo C’era una volta Vigata, entrambi dirette dall’inglese (ma romano d’adozione) Roan Johson.
Questo o quel film mi sarà rimasto sulla punta della penna e, come è evidente, ho omesso di citare i singoli episodi del Commissario Montalbano, gli ultimi dei quali, con la morte di Camilleri e del regista Sironi, sono stati diretti da Zingaretti in persona, il magistrale mattatore della serie.
I nostri luoghi destano in chi li frequenta doti inaspettate!
Sarà l’architettura, oppure il clima, o il fascino di una storia millenaria di cui sussurrano persino le pietre – il Guerriero di Castiglione è stato rinvenuto arando un campo; a me stesso è capitato, nei pressi della costa, di scovare un sarcofago usato come abbeveratoio in una masseria – ma agli Iblei si arriva soldati semplici e si parte generali. È un discorso che vale pure per i film.
Molti registi si sono degnati di mostrarci il loro genio casualmente, o per ragioni di cassetta; dalle nostre parti, i costi di produzione rimangono infatti relativamente bassi e le amministrazioni, quando non contribuiscono, in vista di un ritorno pubblicitario, alle spese dei film, si mostrano sempre attente a non pesare sui bilanci.
E tuttavia, all’iniziale distacco ha fatto seguito un entusiasmo, un coinvolgimento così intenso dell’intero comprensorio da suscitare forze nuove come gli attori Pasquale Spadola e Marcello Perracchio, Andrea Tidona e Angelo Russo, in arte Catarella, o i documentaristi Vincenzo Cascone e Nunzio Massimo Nifosì, o il giovanissimo Raffaele Romano, che con il suo Hungry Birds – protagonisti un’altra promessa del cinema ibleo, l’attore Giovanni Arezzo, e Dominic Chianese, il Jonny Hola de Il Padrino – ha vinto il premio per il miglior cortometraggio indipendente ai Los Angeles Film Awards del 2019.
Saranno questi talenti – tolto il compianto Marcello Perracchio, che assisterà alla prima da un palco di favore – i protagonisti del Guerriero di Montalbano? E quale sarà la trama? Rispondere equivarrebbe a spoilerare il destino del Commissario dopo che Camilleri ci ha lasciati.
Posso solo assicurarvi che non mancheranno eroi – perché, come disse una volta John Wayne, “nessuno dovrebbe andare al cinema se non crede negli eroi” – né un tesoro da scovare.
Su quale sia il tesoro, anzi sul luogo del tesoro, non si accettano scommesse.
Andrea Guastella
(da Andrea Guastella, Stefano Vaccaro, Viaggio negli Iblei. I luoghi degli scrittori)