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20 luglio / 1 settembre 2023

AcquAria. Featuring The Sculpture Habitat. Looking for the Body

a cura di Andrea Guastella e Studio di Scultura M’Arte

Dal Novecento a oggi, non vi è stato artista – pittore, scultore o architetto – che non si sia interrogato sul rapporto tra la propria disciplina e l’idea di spazio: magari declinato, come nell’arte di Picasso, in relazione al tempo.

Cambia, rispetto alla tradizione, l’approccio all’opera, che cessa di essere oggetto da fruire per sé stesso, e si guarda al contesto.

A differenza di quanto accadeva nell’antica Grecia, dove – lo scrive Heidegger in Corpo e spazio (1967) – “le opere architettoniche e scultoree dei grandi maestri parlavano da sé. Parlavano, ossia indicavano il luogo a cui l’uomo appartiene”, la scultura contemporanea non ha più una dimensione omogenea e misurabile. Oggi è piuttosto l’artista che, interagendo con ambienti sempre nuovi, “dispone dello spazio, […] orienta in esso sé e le cose e così custodisce e protegge lo spazio come tale”.

Ma che cosa significa “disporre” dello spazio in un’epoca in cui il reale e il virtuale si confondono, con una tendenziale prevalenza del secondo? Che cosa significa “custodirlo” e “proteggerlo” quando l’architettura dei musei è vuota, la scultura non si vede e gli occhi si aprono esclusivamente sulle fogge, ripetute all’infinito, del nostro quotidiano?

In tale orizzonte, francamente desolante, di spazio pubblico abolito, sedici scultori, su invito dello Studio M’arte, hanno partecipato dal 20 luglio al 1 di settembre 2023 alla seconda edizione della mostra AcquAria. Featuring the sculpture Habitat presso l’Aquario Romano: edificio della capitale nato a fine Ottocento come acquario, ma usato ben presto come cinema, teatro e deposito per il Teatro dell’Opera, sino al recupero, completato ai primi del Duemila, e alla sua trasformazione in Casa dell’Architettura, sede dell’Ordine degli Architetti con più iscritti in Italia.

Presso il secondo piano di questa “casa” fitta di memorie, le sculture hanno occupato un anello completo, simmetrico e speculare, dialogante attraverso una loggia col grande vano centrale. A questo habitat si è aggiunto, rispetto all’edizione precedente, lo storico giardino del complesso monumentale: teatro ideale per grandi installazioni. Soprattutto però, come il sottotitolo Looking for the body dichiara espressamente, il focus della mostra si è spostato dall’esterno all’interno, dallo spazio al corpo.

Un corpo che persino un’arte monumentale come la scultura vede oggi scisso, svuotato, consumato, ridotto in piccoli frammenti. Talvolta un corpo assente.

Un corpo sulla cui rappresentazione gli sviluppi storico-artistici, socio-politici e culturali degli ultimi decenni, non ultimi la pandemia, la carestia, la guerra, le migrazioni, il cambiamento climatico, la rivoluzione tecnologica e l’intelligenza artificiale hanno esercitato ed esercitano un’influenza radicale. Ma pure – come negarlo? – un corpo eterno: quel corpo di cui si parla nei Vangeli come di un tempio, specchio del cosmo e riferimento ineludibile del nostro essere nel modo.

Non è forse il corpo dimora dell’anima, confine che ci separa dagli altri e ponte da percorrere per connetterci con loro? Non è forse in esso il primo spazio che tutti, volenti o nolenti, siamo chiamati ad “abitare”?

Ecco le opere, in ordine di esposizione, di Elia Alunni Tullini, Alex Caminiti, Alberto Criscione, Davide Dormino, Alessia Forconi, Teo Martino, Marco Maschio, Fulvio Merolli, Elena Mutinelli, Matteo Peducci, Reinhard Pfingst, Giacomo Rizzo, Rosa Mundi, Emanuele Stifano, Filippo Tincolini e Antonio Tropiano.

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Alberto Criscione

Alberto Criscione, Rust, Dimensioni: 58 x 30 x 14 cm (con la base in legno 62 x 35 x 20 cm)
Materiali: polistirene, resina epossidica, gesso, argilla autoindurente, ruggine vera, legno di riuso

Questa scultura lavora sui paradossi e sulle contraddizioni nel tentativo di trovare dei frammenti di conciliazione. Il punto di partenza è un corpo classico di Venere, lavorato però con materiali contemporanei di origine industriale, come il polistirene, la resina e un’argilla modificata chimicamente. Questo corpo è sorretto da un pezzo di legno ritrovato a mare, trasformato dal moto ondoso, dal calore del sole e del fuoco. Il contrasto è creato dal lavoro lungo e silenzioso della natura e da quello frenetico e artificiale dell’uomo. È perciò possibile creare un’armonia nell’unione di pratiche apparentemente opposte? La ruggine che attanaglia il corpo di Venere, ci suggerisce che anche il tempo farà la sua parte nel lavorio incessante dell’uomo e che ogni cosa, naturale o artificiale che sia è soggetta al cambiamento.


Alessia Forconi

Alessia Forconi, Gea 2023 marmo di Carrara, batteri 84X42X30

Che cosa passa per la testa a Gea, la scultura di Alessia Forconi? La dea pensa a una sfera e, creatala, al suo interno nascono mostri e dei. Che per fortuna, visto che si tratta di batteri provenienti dalla collezione microbica Enea Mirri, rimangono all’interno della sfera dove, sviluppandosi, cambiano forma e colore: si fanno immagine di pensieri e di emozioni. Il marmo, però, rimane lucido, compatto, levigato. Solo una vena che attraversa il blocco, rifinito esclusivamente sul lato frontale, tradisce una sorta di naturale imperfezione. Che l’Essere sia corrotto dal principio? La purezza della forma e il caos da cui si origina la vita danzano senza toccarsi, all’infinito.


Alex Caminiti

Alex Caminiti, 21 grammi 2019 alluminio misure varie

L’anima nessuno l’ha mai vista. Ciascuno, però, ha avuto, almeno una volta nella vita, l’impressione di sentirne il peso. I 21 grammi dell’opera di Alex Caminiti sono appunto, secondo una ricerca condotta nel secolo scorso pesando un uomo prima e dopo l’esalazione del suo ultimo respiro, il peso dell’anima. Un peso che l’artista intende, come un compositore che scriva il suo spartito, in senso musicale. La sua anima è infatti una sequenza di dischi di metallo: luminosi come aureole, forti come vertebre, flessibili e leggeri come suoni.


Antonio Tropiano

Antonio Tropiano, Exodus 2018 tiglio, cipresso, acrilico 84X42X30

“Come sono belli sui monti / i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza”. Ma che dire dei piedi dei migranti che vengono dal mare? Uomini che il mare, magari, non lo avevano mai visto, e sono stati inghiottiti dal suo abbraccio prima ancora di approdare. Il piede di Antonio Tropiano, in bilico su un ceppo come un’ascia affilata, è un baccello ricurvo pronto a esplodere, a fecondare il mondo con la sua forza primordiale. L’Exodus che dà il titolo alla scultura non è infatti solo quello degli uomini in viaggio da un continente all’altro; è l’esodo dell’anima dalla morte alla vita, dall’immobilità del legno al passo, alla corsa, all’eterno divenire.


Davide Dormino

Davide Dormino, L’ipocrita: grandi funerali per il defunto principe 2012 legno di faggio 68X83X86

Il principe è morto. Ciò che un tempo stava in alto – il suo capo orgoglioso – ora è ai nostri piedi riverso, rovesciato giace al suolo. Solenni esequie saranno celebrate per ricordarne le imprese, di cui alla fine nessuno conserverà memoria. L’ipocrita del titolo dell’opera di Davide Dormino – L’ipocrita. Grandi funerali per il defunto principe – non è infatti il gigante di legno bruciato, ma il suo oscuro fruitore. Che, esaltandone la vita, dimentica la lezione della morte: “tutto comincia quando tutto pare / incarbonirsi, bronco seppellito”. Il legno non ha apparenza né bellezza per catturare il nostro sguardo, ma dal suo buio nasce il fuoco.


Elena Mutinelli

Elena Mutinelli, Proteggi Davide 2006-2008 marmo Statuario 35x60x30

Due braccia callose, ossute si stringono come a formare un nido, un gorgo, il vortice di tempo da cui si genera la vita. “Proteggi Davide – ha dichiarato Elena Mutinelli, autrice del lavoro – è un continuum, la misteriosa circolarità dell’esistenza, la grandezza nel nascere nonostante le avversità. È una genesi in senso laico, un dovere che abbiamo di proteggere le nostre origini lontane”. Nel cuore dell’abbraccio, un minuscolo feto riposa indisturbato.


Elia Alunni Tullini

Elia Alunni Tullini, Involucro 2019 cemento 160X40X40

Per Elia Alunni Tullini, uomini e cose sono opere d’arte inconsapevoli in cerca di autore. Il suo Involucro è una donna seminuda, in posizione stante, coi piedi serrati e il capo chino. Una persona reale che però, nel suo ergersi a statua, smarrisce ogni tratto soggettivo e si fa icona contemporanea: di una società decaduta, schiacciata dal peso dei suoi vizi e dei suoi errori, visibili nelle mille fratture che incidono il cemento; icona che tuttavia resiste, non precipita al suolo. Ed è persino in grado di assumere una parvenza di colore.


Emanuele Stifano

Emanuele Stifano, Natura 2023 marmo di Carrara Statuario 70X50X30

Nel mondo occidentale, Il fanciullo divino è perlopiù un trovatello abbandonato. Egli corre spesso pericoli straordinari: di essere perseguitato come Eracle, dilaniato come Dioniso, inghiottito come Zeus. In Oriente è tutta un’altra storia. Buddha, il risvegliato, nasce cosciente e con un corpo perfetto e luminoso e dopo appena sette passi afferma: “Per conseguire l’Illuminazione io sono nato, per il bene degli esseri senzienti”. A questa figura si ispira, probabilmente, Natura, il bimbo di Emanuele Stifano rannicchiato su sé stesso, con una sfera tra le mani, in un momento di ascolto e di meditazione. Non dunque una figura narrativa, ma un simbolo. Tutto è già scritto, e la storia è una finzione. Chi non ci credesse, contempli lungamente la scultura.


Filippo Tincolini

Filippo Tincolini, Ape AK47 2023 marmo statuario 70X70X35

Circola in rete da una decina d’anni un video in cui un gruppo di soldati africani scherza con una scimmia, ridendo, danzando e facendo schiamazzi. A un certo punto, un soldato dà alla scimmia il suo fucile e l’animale, anziché limitarsi ad agitarlo, comincia a sparare. È questo lo spunto di Ape, animale distopico di Filippo Tincolini, colto un istante prima, o forse poco dopo, aver gettato il panico tra i suoi “commilitoni”. Una scimmia a dir poco umana. Con la non trascurabile differenza che ciò che per essa è un gioco per noi, cosiddetti civili, è quasi sempre scelta intenzionale di morte e distruzione.


Fulvio Merolli

Fulvio Merolli, Boxer 2020 marmo bianco di Carrara 40x25x25

La scultura è una lunga sequenza di colpi ripetuti. Niente di strano, perciò, che nel realizzare questa sorta di autoritratto, Fulvio Merolli abbia pensato a un Boxer, un pugilatore. Una figura carica di riferimenti classici come il bronzo romano attribuito a Lisippo. E tuttavia, a guardare attentamente, la superficie del blocco è rugosa, frastagliata. Tra un pugno e un colpo di scalpello il lottatore si riposa, prende fiato e in quell’istante il suo volto non è più ricoperto di pelle ma di fibre, tessuti muscolari. L’interno – il tormento interiore e la lunga fatica che ha trasformato in visione la materia più bruta – emerge in superficie. Il cuore, finalmente, è messo a nudo.


Giacomo Rizzo

Giacomo Rizzo, Contro Corrente 2023 resina, pvc 140X40x40

La natura sa già tutto. In natura, i bozzoli proteggono i bachi in attesa di dischiudersi, di diventare farfalle. Oppure le vittime, ancora vive, degli aracnidi, in attesa di essere succhiate in un macabro rito funerario. Un rito applicato, dai sacerdoti egizi, ai cadaveri supini, prossimi a navigare come zattere sulla corrente del destino. E tuttavia le figure umane nere e inviluppate di nastri di Giacomo Rizzo non si abbandonano ai flutti. Appese ancora a un filo – il filo della vita – ci costringono ad andare Contro Corrente, a rivolgere lo sguardo verso il cielo.


Marco Maschio

Marco Maschio, Il rantolo di Frate Asino 2022 legno di limone 100X25X30

“Al termine della sua vita San Francesco d’Assisi rivolge queste parole al suo corpo: ‘Frate asino ti chiedo perdono se ti ho maltrattato’. Ma chi è a chiedere scusa? È il Corpo stesso che affannosamente rantola cercando di aggrapparsi all’anima senza la quale non avrebbe senso? O forse è la stessa Anima che ha abusato del corpo per potersi manifestare?”. Così Marco Maschio in margine a Il rantolo di frate Asino, nuda scultura che è sì lamento, urlo cieco e disperato, ma anche, nel suo vigore formale, nella sua plastica sontuosa e tormentata, pura cantica di lode per la magnificenza del creato.


Matteo Peducci

Matteo Peducci, Crepuscolo 2020 marmo di Carrara Statuario 30X30X36

“Per arrivare all’alba”, ha scritto Gibran nei suoi celebri aforismi, “non c’è altra via che la notte”. Bisogna passare attraverso il crepuscolo, vale a dire la luminosità limitata e incerta del tramonto e quella, altrettanto flebile, dell’alba. Bisogna, in altre parole, ripercorrere il flusso di una tradizione eterna, che non si può dimenticare. Anche al costo di produrre immagini ironiche, come il d’après del Crepuscolo della Sagrestia Nuova michelangiolesca di Matteo Peducci, che hanno l’apparenza – soltanto l’apparenza – di copie in polistirolo dei capolavori del passato.


Reinhard Pfingst

Reinhard Pfingst, Grande forma aerodinamica: L’agonista 1998 marmo Calacatta 90X20X20

Anche quando si esprime in fogge astratte, la scultura parla sempre del corpo. Che dico: è essa stessa un corpo, a volte estraneo, a volte sentito come affine. Nel caso del lavoro di Reinhard Pfingst, a prevalere sembrerebbe il primo senso: muovendo dal titolo, che fa parte dell’opera e ne influenza la lettura, l’Agonista potrebbe essere una forma femminile; una grande vagina affascinante e delicata, ma pur sempre pronta a chiudersi come una ghigliottina, nel mutare delle ombre, sullo sguardo che la inchioda.


Rosa Mundi

Rosa Mundi, Buco Nero I, Ominide – I Suitcase di Europosaurus Holgeri, Galassia nel Buco Nero
2022 marmo nero del Belgio, rete dorata misure varie

Nell’arte di Rosa Mundi le valigie, di vari formati, rappresentano il bagaglio culturale impalpabile, stratificato nei millenni, delle diverse esperienze ed ere umane. La prima, quella esposta in questa mostra, è l’Ominide in granito nero del Belgio, contenente dei fossili al suo interno. La valigia è molto piccola e grezza: il viaggio dell’uomo è appena cominciato. Eppure i fossili richiamano galassie: la luce, la stessa catturata dalle sue sfere armillari, si condensa in costellazioni, in buchi neri. E se il primo buco nero fosse proprio il corpo umano?


Teo Martino

Teo Martino, “Cibus eramus, cibus sumus, cibus erimus” 2022 marmo bianco P 27x30x35

Il marmo è materia granulosa, cristallina. La sua consistenza è simile, sotto certi aspetti, a quella di zucchero e farina: sostanze utilizzate, dalle mie parti, per realizzare dolci o biscotti un po’ macabri, a forma di teschi e di ossa. Teo Martino non è siciliano, è delle parti di Torino, e il suo teschio composto di chicchi di riso, a pena di rompersi i denti, non si mangia. Ciò però non gli impedisce di suggerire col suo titolo quanto mai esplicito e il suo nitore abbagliante la nostra comune destinazione alimentare: Cibus eramus, cibus sumus, cibus erimus; cibo eravamo, cibo siamo, cibo infine diverremo.


20 luglio / 1 settembre 2023

AcquAria. Featuring The Sculpture Habitat. Looking for the Body

a cura di Andrea Guastella e Studio di Scultura M’Arte

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