a cura di Andrea Guastella
Raramente due artisti sono stati così lontani e così vicini come Salvo Agria (ASO ART) e Luigi Citarrella. Il primo, pittore convertito sulla via di Damasco ai video d’artista e alla fotografia, del pittore ha conservato l’attitudine surreale e la manualità. Figlie del primo amore, le sue visioni ruti- lanti svelano echi lontani, memorie dal remoto. Nessun luogo meglio del salone d’onore di Palazzo Oneto di Sperlinga si prestava ad accogliere i suoi Angeli mortali: figure su cui gli affreschi della volta riverberano i loro fuochi d’artificio. In Luigi, al contrario, scultore sino al midollo, i colori sono come prosciugati: al pari di tante statue classiche, un bianco freddo e asettico è la tinta dominante. Sappiamo bene, però, che anche le sculture del passato erano cariche di colori sgargianti. Perciò la superficie neutra dei suoi uomini Alla ricerca di un ideale mi ha ricordato piuttosto il vuoto che ci lasciamo alle spalle: i calchi pompeiani. Sovrapposizioni multiple da un lato, severità e ascetismo dall’altro: ecco la (complementare) lontananza. Ma non si tratta dello stesso, reiterato esorcismo del tempo? Nel caso di ASO ART, mediante stimoli lisergici; nel caso di Luigi per via di congelamento. Un esorcismo che è anche una speranza: di ritrovare la memoria del passato, di riessere umani. Nel frattempo, storditi dagli orrori della guerra in Ucraina, viviamo l’angoscia del condannato. Auguriamoci sia solo un purgatorio.
Andrea Guastella